L'OTTOVOLANTE
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“Punta a monte!” Significa che si pagaia controcorrente, alla sorgente. In altri termini la direzione, l’orizzonte del kayak è la cima del Monviso dove nasce il Po che attraversa Torino intervallato dalle aristocratiche balze dei ponti. La quiete delle anse è spezzata dal vociare che giunge da Murazzi e Valentino. La gente passa accanto al fiume distrattamente: è un pittoresco tassello del paesaggio avvicinato oltremisura solo da canottieri e canoisti, ricolmo di vita acquatica e anfibia. Condividiamo la nicchia ambientale di ratti, alghe, pesci e detriti; l’acqua lega tutti in un sol corpo.
Grappoli di fiori candidi punteggiano i declivi della collina. Sono le robinie, o gaggie, che nella via d’acqua affondano le radici. Trecento anni fa i semi di questa leguminosa fortemente invasiva nota negli Stati Uniti come black locust furono sottratti agli Appalachi e introdotti in Europa. In Pianura Padana spodestò pioppi e salici e colonizzò i boschi alpini. Si naturalizzò. Gli umani approfittano del legno, le api dei fiori, il suolo è reso fertile dall’azoto, fissato dal batterio rhizobium leguminosarum che alloggia sulle sue radici. La robinia ha imposto una riorganizzazione dell’ecosistema in accordo coi cicli adattivi designati dall’ecologo Buzz Holling, la capacità di sopravvivere alle catastrofi mutandole in catarsi: resilienza.
In A Sand County Almanac, Aldo Leopold scriveva che il terrore dei cervi attanaglia la montagna. Senza predatori, il proliferare degli erbivori esaurisce le risorse. Sulle nostre Alpi dove lupi e orsi sono stati sterminati inaugurammo gli abbattimenti selettivi, poi, nel corso del tempo, i lupi sono tornati o sono stati reintrodotti. Accogliendo il suggerimento di Leopold abbiamo iniziato a “pensare come una montagna”. Pagaiando sul Po vien da chiedersi cosa pensa il fiume. Teme, il Po, la minaccia alla biodiversità costituita dalla nutria, o lo scoiattolo grigio che sgomita col nostrano? Ha percepito la morsa dell’alga Myriophillum Aquaticum nel corso dell’ultima estate? Il fiume riceve dalle nostre mani nuove specie; altre patiscono e scompaiono. I traumi sono sempre più profondi, la resilienza dell’ecosistema è messa a dura prova. Il simbolo tridimensionale dell’infinito che identifica la sequenza adattiva alterna cicli di crescita e caduta. Il modello, chiamato da Lance Gunderson e Buzz Holling panarchia (da Pan, divinità greca della natura) disintegra la concezione statica dei sistemi ecologico-sociali, sostituendola con continue ricombinazioni: una stabile instabilità. La panarchia è una struttura in cui sistemi naturali e umani, così come sistemi combinati umano-naturali e socio-ecologici,
sono interconnessi in infiniti cicli adattivi di crescita, accumulazione, ristrutturazione e rinnovamento. […] Se siamo in grado di comprendere questi cicli e le loro scale, sembra possibile valutare il loro contributo alla sostenibilità e identificare i punti ai quali un sistema è in grado di accettare mutamenti positivi e quelli ove risulta vulnerabile. (Holling 2001: 392)
Durante un’uscita in kayak la potenza della corrente impone la pratica incessante delle competenze apprese. L’acqua non tollera stalli: il canoista familiarizza con l’elemento sul quale si muove, impara a sfruttarne le proprietà, ad interpretarlo e leggerlo, se vogliamo, finché diviene naturale “assorbire il cambiamento e la precarietà” (Holling 1973: 14). L’apertura al costante flusso d’energia e l’oscillazione del baricentro impediscono la calcificazione di un sistema. Venire a patti con l’instabilità, con le parole di Holling, “produce un sistema altamente resiliente in grado di riprodursi e persistere nel tempo, sinché una perturbazione scatena nuovamente la sequenza” (15). Nell’introduzione a Panarchy: Understanding Transformation in Human and Natural Systems (2002), Holling tira le fila delle riflessioni intercorse dal 1973, anno di pubblicazione di Resilience and Stability of Ecological Systems, l’articolo in cui introduceva il concetto di resilienza:
Fu scritto come antidoto all’angusta visione di un comportamento fisso, di un equilibrio e della resistenza alle perturbazioni da parte della popolazione. (Holling e Gunderson 2002: 11)1
Il concetto di stabilità desumibile da una visione di questo tipo si discosta dall’idea di permanenza e immutabilità. “La stabilità in natura potrebbe essere chiamata un’illusione ben fondata”, ha scritto l’etico ambientale Bryan Norton (2003: 334). La stabilità non è stasi, bensì “l’abilità di un sistema di tornare allo stato d’equilibrio in seguito a una temporanea perturbazione. Più rapido è il ritorno, minori sono le fluttuazioni, più stabile risulta” (Holling 1973: 17). È una danza con l’acqua, saper star saldi sulla barca che oscilla. Per farlo, un sistema dev’essere disomogeneo. Più connessioni possiede, più alternative si offrono per incanalare il flusso d’energia. Holling e Gunderson definiscono questa tipologia di sistema CAS: Compless Adaptive System. La gerarchia dei cicli adattivi e la panarchia sembrano far luce anche sulle teorie dei sistemi non biologici.
Moltissimi altri sistemi sembrano egualmente calzare il modello euristico del cambiamento: lo sviluppo delle cellule, la riproduzione meiotica, la formazione di un ecosistema, l’evoluzione, la stasi e la trasformazione organizzativa, i processi politici e sociali. (Holling e Gunderson 2002: 13)
Holling riuscì a includere nella teoria dei cicli adattivi lo sviluppo delle foreste, il crollo dell’URSS, l’11 settembre e la sua esperienza di ricercatore: tutte le culture e tutte le esistenze sperimentano fasi di ascesa e declino, una lenta crescita e accumulazione di sapere e abilità (il front loop del simbolo ∞) e rapide riorganizzazioni che conducono al rinnovamento o, più raramente, al collasso (il back loop). In queste fasi si inseriscono due livelli: la Rivolta, che impone un cambiamento critico alla curva (Holling 2001: 398) e il Ricordo, che facilita il rinnovamento riportando in superficie il potenziale accumulato e stoccato nel corso di un ciclo largo e lento. Una versione sociale della Rivolta è l’affermazione delle istanze portate da una piccola comunità in lotta contro le politiche istituzionali. La vittoria può rappresentare la molla scatenante di un cambiamento più grande: sorta di effetto farfalla. Il Ricordo è l’insieme delle risorse da utilizzare nel corso della riorganizzazione: i semi depositati nel terreno, l’humus prodotto dal decomporsi di sostanze vegetali e animali, il diritto romano, gli ideali illuministi rivoluzionari, la rotazione delle colture, la filosofia classica, la memoria partigiana.
La Resistenza, seconda guerra civile italiana – anni di strategie, tessitura di legami, lotta armata, germinazione dei principi democratici ed esplorazione intellettuale –, corrisponde alla fase alfa. In seguito, la nascita della Repubblica, il Boom economico furono la fase r cominciata nel dopoguerra e perdurata sino agli ultimi decenni del Novecento. Il mondo si risollevò dopo Weimar, Auschwitz e Hiroshima. Parte della risposta è la resilienza naturale dei sistemi, tale da tollerare ingenti cambiamenti mantenendo l’integrità delle proprie funzioni,
ma l’altra parte della risposta sta nel comportamento e nella creatività umana. Cambiamento e trasformazioni radicali sono state parte della nostra storia evolutiva. Le capacità adattive hanno reso possibile non solo la resistenza passiva, ma anche la creazione e l’innovazione una volta che i limiti erano stati raggiunti. (Holling e Gunderson 2002: 11)
Attualmente ci troviamo nella fase di conservazione K, la cima dell’ottovolante, e abbiamo la punta dei piedi oltre il ciglio. Perpetuare il capitalismo quale unico modello di sviluppo equivale a stiracchiare la linea conservativa. Prima o poi s’inarcherà violentemente, e precipiterà. Appaiono tutti i sintomi del declino: alta specializzazione, cedimento dell’efficienza complessiva, dispersione di capitali ed energia. Soprattutto, una connettività mai vista in precedenza: un tweet scatena rivoluzioni, flussi d’informazione viaggiano senza sosta, le comunità si organizzano attraverso Facebook. L’esaurirsi del petrolio e i cambiamenti climatici imporranno la transizione a un nuovo tipo di civilizzazione. Abbiamo già iniziato a perdere resilienza, e non si torna indietro. La ricerca spasmodica di connettività propria dell’animale umano è una debolezza che può trasformarsi in riscatto. Il neologismo Internet of things, che riguarda l’intelligenza interna agli oggetti in virtù della loro connessione tra loro e con noi, può riguardare anche l’insieme di relazioni e di debiti che abbiamo con l’ambiente. La rete che unisce le creature del mondo è vasta e antica: ci precede e ci trascende. Timidi tentativi di ricordarla si stanno affacciando. Reimmergerci e riallacciarci saldamente, consapevolmente a questa rete tangibile, materiale, fatta di mandibole, di odori, di umori, rispettarla, proteggerla è l’unica speranza che abbiamo di restare sull’ottovolante.2
NOTE E BIBLIOGRAFIA #
1. Il primo capitolo di Panarchy è scaricabile gratuitamente da www.resalliance.org ⇑.
2. I siti internet dello Stockholm Resilience Centre e della Resilience Alliance offrono in merito riferimenti bibliografici utilissimi e link ai contributi video di Buzz Holling, Lance Gunderson e altri ⇑.
HOLLING Crawford Stanley, 1973, Resilience and Stability of Ecological Systems, in Annual Rewiew of Ecology and Systematics, Vol. 4, 1-23, reperibile online.
HOLLING Crawford Stanley, 2001, Understanding the Complexity of Economic, Ecological, and Social Systems, in Ecosystems 4, Spring 2001, 390-405.
HOLLING Crawford Stanley, 2004, From Complex Regions to Complex Worlds, in Ecology and Society 9, online.
HOLLING Crawford Stanley, GUNDERSON Lance, LUDWIG Don, 2002, Panarchy: Understanding Transformations in Human and Natural Systems, Washington DC, Island Press. A questo indirizzo è possibile visionare o scaricare il primo capitolo.
NORTON Bryan, 2003, Searching for Sustainability: An Interdisciplinary Philosophy of Conservation Biology, Cambridge, Cambridge University Press.
Scritto da Luca Bugnone | Luca Bugnone
Appassionato di montagna e di ecologia, laureato in Letterature comparate all’Università di Torino con una tesi, di prossima pubblicazione, intitolata Cuore di pietra. Metamorfismo, memoria e resilienza in Val di Susa, incentrata sulle intersezioni eco-narrative tra geologia, politica, storia e letteratura nella valle in cui è cresciuto. Pubblica racconti e interventi in antologie seriose, serie e semiserie. È camminatore, lettore, aspirante apicoltore.