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Il demiurgo

·1839 parole·9 minuti
S01E02

“Posso solo indicarti la porta, ma sei tu che devi attraversarla”

Le parole dell’Oracolo a Neo sono le parole che ogni Dungeon Master dovrebbe dare ad ogni giocatore di ruolo, appena prima di aggiungere “Quindi cosa fate?”.
Se non avete mai giocato ad un gioco di ruolo, pensate al Dungeon Master come il Bardo delle vecchie storie: la sua mente è piena di mondi non ancora nati, mondi che a volte differiscono dal nostro solo per qualche piccolo particolare, mondi che sono esistiti un tempo o che non esisteranno mai. Mondi, in generale, che hanno una storia da raccontare.

Questi mondi hanno bisogno di eroi, di qualcuno che viva al loro interno. Sono gli altri giocatori, oltre al Dungeon Master, a indossare le maschere di questi eroi e interpretarne la parte come attori in scena.
Pur essendo un gioco, non ci sono vincitori, in un gioco di ruolo, e dato che ognuno veste per qualche ora i panni di un altro personaggio, i giocatori sono costretti a collaborare tra di loro e a raccontare come intendono sormontare gli ostacoli che si trovano davanti a loro.
Costretti forse non è il termine adeguato, perché in un gioco di ruolo le azioni vengono dettate solo da due cose: la fantasia e le regole del mondo in cui la narrazione viene ambientata, che devono essere condivise da tutti.
L’ultima cosa che rende un gioco di ruolo quello che è, è il come viene deciso se l’azione raccontata da uno dei giocatori riesca o meno ad avere successo.
Quando un’azione è particolarmente stancante, come ad esempio combattere o scalare una parete, o se l’esito di tale azione non è così scontato, ad esempio ricordare le parole esatte per aprire una porta magica o cercare le tracce dei predoni che hanno attaccato il villaggio, è necessario lanciare un dado per scoprire se il personaggio riesce a portare a termine l’impresa e capire quanto bene o male potrebbe andargli.

Il demiurgo

In origine era il nulla, e il Demiurgo era tutto ciò che esisteva oltre il Nulla.
Davanti ai suoi occhi scorgeva le ombre di tutto ciò che poteva essere e contemplava infiniti mondi che si avvicendavano nella potenzialità del vuoto.
Non c’erano limiti a quello che il Demiurgo avrebbe potuto realizzare: mondi dove antiche divinità dormivano sotto la superficie, trascinando nella pazzia i mortali sopra di loro, mondi dove gli eroi della luce avrebbero sempre trionfato, in un modo o nell’altro, o mondi dove le stelle sarebbero state la nuova frontiera per il genere umano… Tutto questo era possibile ed era già un embrione nella mente del Demiurgo.
Poi il Demiurgo avvicinò altre entità simili a lui, chiedendo loro di scegliere la forma che avrebbero preso nel mondo scelto per loro, che avrebbero abitato guidati dal Demiurgo.
Come le forme dei mondi possibili erano infinite agli occhi del Demiurgo, così le forme di questi Avatar erano altrettanto numerose.
Il Demiurgo scelse poi quali regole avrebbero dettato legge nel Mondo appena creato, plasmando le possibilità degli Avatar che avrebbe camminato nel solco della Storia che stava tracciando.
Senza regole, questi Avatar non avrebbero avuto una guida, una luce che li portasse a realizzare la propria potenzialità, nel caso fossero riusciti a sopravvivere alle prove che il creatore di storie aveva scelto per loro.
Io sono il Demiurgo, il Forgia Mondi, il Narratore di ciò che è. Sono la voce del Mondo e di coloro che lo abitano. Nessuno ricorderà il mio nome, se farò bene il mio lavoro.
Ricorderanno solo la storia degli Avatar, delle loro scelte, dei loro successi e dei loro fallimenti.
Per questo mi rivolgo a voi, Avatar e vi domando: Cosa fate?

Da piccolo leggevo tantissimo, nonostante i miei genitori non fossero particolarmente bibliofili. In casa mia giravano tantissimi fumetti e libri di Epica per la scuola media.
Leggevo di Ulisse, di Gilgamesh dell’Uomo Ragno e mi immaginavo questi eroi compiere le loro imprese leggendarie. Poi la sera disegnavo i miei fumetti, con i miei eroi, mappe del soggiorno di casa in cui il tappeto era un lago di lava mortale ed ogni volta che entravo nella Ford Escort di mia padre salutavo K/7-35, che era il nome da Transformer che avevo dato alla macchina.
Saccheggiavo la biblioteca comunale alla ricerca di storie di mondi lontani e strani, mi spaventavo tanto con i racconti di Edgard Allan Poe quanto con il cartone animato del Signore degli Anelli di Bakshi, di cui avevo una videocassetta arrivata chissà come a casa mia.
Nonostante questo non sapevo assolutamente nulla di Fantasy, non sapevo dell’esistenza dei libri di Tolkien e tanto meno avevo mai sentito parlare di Dungeons & Dragons e giochi di ruolo.
Al fantasy ci arrivai in maniera completamente inaspettata, quando a 10 anni mi ruppi il braccio giocando in casa e dovetti stare a casa di mia zia per qualche settimana. Ero sempre stato un bambino attivo ed essere costretto a stare in casa, oltretutto una casa non mia, mi stava facendo impazzire.
Per distrarmi un po’ mio cugino mi prestò la sua copia di “I draghi del crepuscolo d’Autunno”, di Tracy Hickman e Margaret Weis. Tanis, Raistlin, Tasslehoff e il resto della compagnia entrò a gamba tesa nella mia vita. Divorai il libro in pochi giorni, leggendo perfino il frontespizio. In un angolo, in piccolo, vicino al titolo originale e all’anno di pubblicazione c’era scritto “Dungeons & Dragons”.
Ancora non sapevo cosa fosse, e non l’avrei scoperto per altri 5 anni, ma il seme era stato gettato.
Quando rividi quel nome sulla copertina di Baldur’s Gate, un mio giovane neurone, rimasto vigile da quel fatidico giorno di 5 anni prima, richiamò a gran voce la mia attenzione.

Comprai il gioco raccimolando tutto quello che avevo e lessi il manualetto allegato, con una versione semplificata delle regole, decine di volte.
Le possibilità che mi stava dando questo immenso gioco della Black Isle erano quasi infinite, ai miei occhi di giocatore di Doom e Wolfenstein. Persino avventure grafiche come Monkey Island impallidivano di fronte alle potenzialità di una storia che poteva cambiare in base alle mie scelte e il cui finale non era scontato.
Quando l’anno seguente il mio professore di Filosofia ci chiese se fossimo interessati a provare a giocare a Dungeons & Dragons, la mia bocca aveva già risposto di sì in maniera completamente autonoma, ancora prima che l’informazione passasse nel mio cervello.
Nonostante per il gruppo l’esperienza fosse stata tragica, con 6 personaggi su 7 morti prima della fine della prima sessione, questo non fermò me e i miei amici dal comprare i manuali appena usciti della Terza Edizione di D&D.
Iniziammo a giocare subito, senza domandarci troppo come fosse fatto il mondo. Come ogni avventuriero di primo livello che si rispetti decidemmo di andare a disinfestare delle grotte occupate da una tribù di coboldi, piccoli esseri rettiloidi che sono ormai i miei preferiti di sempre.

Non saprei dire bene come, ma grazie a svariate ritirate strategiche e una bella dose di fortuna riuscimmo a sopravvivere a quel primo incontro e quello subito successivo con un cucciolo di drago.
Poi successe che volli diventare io il Demiurgo. Avevo letto tutti i manuali che c’erano e che ero riuscito a trovare, avevo in mente come sarebbe stato il mondo dove avremmo giocato e quali minacce incombessero su questo mondo. Quello che non sapevo era come sarebbe andata a finire la storia.
I miei eroi potevano finalmente prendere vita, persino scontrarsi con quelli dei nostri amici, e il giudice imparziale di questi conflitti non sarei stato io, ma il dado.
Il fatto che avessi letto così tanti manuali non mi aveva però preparato ad essere realmente un Dungeon Master, un Demiurgo di storie. Imparai molto velocemente che il dado può essere fin troppo imparziale e che la fortuna non guarda in faccia a nessuno. Alla mia prima sessione, i personaggi dei miei amici morirono tutti, così come era successo al mio gruppo qualche mese prima.
Preso dal panico nel guardare i miei amici sconsolati e delusi da questa loro prima avventura dovetti improvvisare qualcosa e arrivai naturalmente dove ogni Master magnanimo arriva prima o poi: il Deus Ex Machina del “Era tutto un sogno premonitore”.
Parlo di Demiurgo magnanimo perché esistono diversi approcci a come raccontare una storia e questo vale ancora di più in un universo fatto di regole che cambiano di gioco in gioco, regole che cambiano da un’edizione all’altra di un gioco, regole che violano la sospensione di incredulità, regole dettate dal buon senso e dadi, che sono giudici, giuria e boia delle azioni dei personaggi, per non parlare di quei giochi, ancora più di nicchia e ancora più complessi, in cui le regole sono quasi inesistenti e non c’è un arbitro che prenda l’ultima parola e decida come una regola vada applicata.

Io ho sempre cercato di trovare un certo equilibrio tra l’essere magnanimo e l’essere giusto. Non sempre le due cose coincidono, anzi, spesso sono in evidente contrasto: se il dado ha deciso che il tuo personaggio dovrebbe morire, il tuo personaggio ha il destino segnato, in teoria.
Allo stesso tempo un gioco di ruolo è una storia, e una morte priva di pathos non ha nessun valore narrativo.
Ci sono Dungeon Master che decidono di applicare alla lettera le regole del gioco, e in genere sono quelli che hanno già previsto esattamente come il mondo andrà avanti a prescindere dalle azioni dei personaggi. I giocatori non sono altro che pedine nella sua storia e sono utili solo finché ci sono, ma non sono vitali al racconto per come ce l’ha in mente il DM.
Ci sono poi Master pronti ad infrangere ogni regola per la cosiddetta “Rule of cool”: se sta succedendo qualcosa di fichissimo, non importa se il gioco non lo prevede, troveremo il modo di farlo funzionare.
Questo è il genere di Master che cerco di essere e in quest’ottica il DM è Morpheus che insegna a Neo come usare la Matrice a proprio vantaggio o, in questo caso, a vantaggio della storia.
È un programma d’allenamento. È simile alla realtà programmata di Matrix. Le regole di base sono le stesse, come la gravità, e ricorda che queste regole sono simili a quelle di un sistema di elaborazione dati: alcune possono essere eluse, altre infrante.
Sono ormai quattro anni che racconto queste storie per chiunque abbia 2 o 3 ore la settimana per ascoltarmi. Le racconto in un podcast che si chiama Fumble,  le racconto insieme ai miei amici, che sono la parte più importante delle storie che racconto. Forse non è nemmeno preciso dire che le racconto, io sono solo le comparse nelle storie di questi eroi.
Alcune storie sono molto brevi, alcune durano mesi, e io non posso fare a meno di pensare a quando da piccolo leggevo le storie di Ulisse o Gilgamesh, sapendo che quello che io leggevo era in realtà stato raccontato intorno ad un tavolo, tra amici, passanti e curiosi che ascoltavano il cantastorie parlare di eroi, mostri, successi e fallimenti.

Immagine di copertina di Victoria Maderna.