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STRAIGHT, NO CHASER

·981 parole·5 minuti

Ad averne le competenze, per parlare di rapidità avrei scritto solo di jazz. Questo mi dicevo mentre ero intento a pensare qualcosa da scrivere, poi ho visto questo video.

e mi son detto: sarà anche suggestione, ma Thelonious Monk sembra che muova la mano destra seguendo un tempo e la mano sinistra seguendone un altro. Un momento: e se seguissero una il tempo di Vulcano e l’altra il tempo di Mercurio di cui parla Calvino? Non sono un esperto di tecnica musicale, tanto meno di jazz, così sono andato a cercare altri video di pianisti, soprattutto di classica, tipo questo

e ho notato che le mani, per quanto rapide o lente sui tasti, eseguono il pezzo con lo stesso ritmo.

Ascolto volentieri jazz, ma devo ancora approfondire la materia e la storia. Una certezza però ce l’ho da Marshall McLuhan e dalla sua scala di temperatura dei media che prende spunto proprio da questo genere di musica: a medium caldo corrisponde un’alta definizione del messaggio e un basso grado di impegno da parte del pubblico; a medium freddo una bassa definizione del messaggio e un alto grado di impegno del pubblico. Questo impegno è legato alla fatica che un unico senso di un utente deve compiere per comprendere il messaggio: nei media caldi esso è completo e un ricevente può solo accoglierlo, nei media freddi lo deve completare.

Seguendo questa distinzione, un po’ arzigogolata ma efficace, possiamo dire che il cinema e la radio sono caldi, mentre la TV e il telefono sono freddi. Questo perché il cinema e la radio lasciano poco spazio al pubblico per completare l’informazione, a differenza di telefono e TV dove lo sforzo di chi partecipa deve essere maggiore.

Un medium caldo permette meno partecipazione di un medium freddo; una conferenza meno di un seminario, un libro meno di un dialogo. (…) Ma la nostra epoca è piena di casi che confermano il principio secondo il quale la forma calda esclude e la forma fredda include.1

Questa dicotomia, come detto, deriva dal jazz: negli anni Cinquanta del Novecento si indicava come hot jazz quel tipo di musica in cui veniva lasciato poco spazio all’improvvisazione, veniva eseguito lo spartito con le sue variazioni sincopate e i ruoli all’interno dell’orchestra erano stabili. In pratica la musica bastava a se stessa. Il cool jazz invece si basava proprio sulle improvvisazioni dei musicisti sopra a un tema suonato all’inizio e ripreso nel finale, quindi la musica per completarsi necessitava di uno sforzo maggiore da parte dei suonatori.

McLuhan si spinge anche più in là e non limita la distinzione tra caldo e freddo solo ai media, ma anche per esempio alle epoche della storia. A me piacerebbe applicare l’idea della temperatura dei media di McLuhan al tempo di Vulcano e Mercurio: qual è il tempo più freddo o più caldo? Quello di Vulcano o di Mercurio?

Vulcano, più introspettivo e più lento, permette maggiore riflessione e impegno, quindi è freddo, mentre Mercurio, più rapido e immediato, diventa caldo. Questo comporta che il digitale, con il suo tempo di Mercurio più che di Vulcano, sia caldo e che lo smartphone e il tablet siano le ali ai nostri piedi (o mani) che ci trasportano velocemente. Nella sua lezione Calvino scrive

(…) dal momento in cui un oggetto compare in una narrazione, si carica d’una forza speciale, diventa come il polo d’un campo magnetico, un nodo d’una rete di rapporti invisibili. Il simbolismo di un oggetto può essere più o meno esplicito, ma esiste sempre. Potremmo dire che in una narrazione un oggetto è sempre un oggetto magico. (p. 37)

Con i nostri oggetti magici viaggiamo nel tempo di Mercurio che, essendo quello più consono a descrivere il mondo digitale e interattivo, è caldo. Ma siamo sicuri? Pensandoci bene se l’impegno e la completezza di un messaggio sono il metro di valutazione per capire la temperatura di un medium, cosa c’è di più freddo di Internet in cui tutti siamo sia pubblico sia creatori di contenuti e quindi impegnati a metterci del nostro? Immagino sia difficile, lo è anche per me, associare al caldo qualcosa che noi valutiamo poco coinvolgente e, al contrario, indicare con freddo qualcosa che invece ci scalda il cuore, però proviamo a mantenere questa rotta e vediamo dove ci porta.

Essendo la rete un contenitore di altri contenitori quali social networks, blog, wiki, news, la scelta corretta è quella di considerare ognuno di questi elementi come fossero medium a se stanti, ognuno con una temperatura diversa. Scorrere il dito sulla bacheca di Facebook o Twitter non ci sembra così impegnativo, quindi potremmo dire che è un’attività calda, appena però leggiamo qualcosa che ci interessa e decidiamo di fare Retweet, mettere un Mi piace o commentare o cliccare sul link, diventa un pochino più fredda. Se questo link ci porta a un blog e iniziamo a leggere quel che c’è scritto, la temperatura scende ancora e se l’articolo ci è piaciuto e decidiamo di condividerlo con i nostri amici, arriviamo quasi a uno zero termico, punto in pratica raggiunto solo dagli autori che sono gli unici che mettono il massimo impegno per costruire un contenuto.

Potremmo dire allora che nel digitale mediamente si sta al fresco perché richiede una nostra partecipazione e che al suo interno troviamo delle situazioni che vanno da una temperatura primaverile a una invernale. Divertente è allora chiedersi quale temperatura possa avere guardare su Youtube il documentario Straight No Chaser (Liscio senza ghiaccio) che parla di Thelonious Monk e di cool jazz; utile è invece pensare quale temperatura possano avere tutti gli strumenti con cui entriamo in contatto: ci permette di comprendere quanta influenza essi hanno su di noi e quanta noi ne abbiamo su di loro.


Note e bibliografia

1. McLuhan M. (1967), Gli strumenti del comunicare. Mass media e società moderna, Il Saggiatore, Milano, p. 32.


Scritto da Edoardo Faletti | interstizi