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MOLTEPLICITÀ COME REGOLE

·1184 parole·6 minuti

La molteplicità è una delle caratteristiche intrinseche del web. Intrinseche per la tecnologia che lo sostiene (ricordate la commutazione di pacchetto?) e sopratutto per il tipo messaggio che è possibile veicolare (il messaggio in questo caso non è inteso come contenuto, concetto, ma come tipo: tweet, immagine, video, stringa di codice etc).

Riprendendo un articolo di qualche mese fa si potrebbe dire che tale molteplicità è sostenuta da due elementi principali: la modularità e la ricombinazione.

La modularità caratterizza fortemente quasi tutto il mondo digitale, così come la comunicazione che grazie agli strumenti digitali si sviluppa. Senza fare esempi troppo complicati pensiamo ad esempio alle serie tv (grandi film spezzettati in tante parti che possono essere consumati nei viaggi in metro, ogni parte con una sua identità precisa all’interno comunque omogeneo del tutto), alle canzoni (il concetto di album, così come il concetto di opera non esiste praticamente più, si compra la singola canzone) e anche ai tweet e ai blog (elementi ridotti, tweet e post, che costruiscono una narrazione se collegati tra loro ma che vivono comunque in un regime di sostanziale indipendenza e autosufficienza).

Questo aspetto genera dei sistemi di produzione interessanti. Pensiamo al fenomeno open source (in generale all’open content che è meglio): un qualsiasi progetto (software, ma anche di una enciclopedia libera ad esempio) si basa sulla riduzione a moduli, a porzioni, a tasselli. Queste entità non devono essere create dalla stessa persona o dallo stesso gruppo di persone, ma possono anche essere affidate ad altre persone, distanti o sconosciute, che semplicemente condividono gli interessi dei promotori del progetto originale. Wikipedia funziona così all’incirca. Il software open source anche: ogni partecipante sviluppa una porzione di codice che, insieme ad altri contributi, va a comporre il codice sorgente di un particolare software. In effetti la riduzione a entità modulari di un qualsivoglia problema ne favorisce una risoluzione di tipo orizzontale poiché ogni attore può scegliere il modulo su cui operare in maniera indipendente, conscio del fatto che il suo tassello andrà a comporre un quadro complessivo risolutivo (frutto di altri tasselli che sono frutto a loro volta del lavoro di altri). Ciò permette alcuni vantaggi: da un lato l’utente è libero di scegliere secondo il suo gusto personale o secondo la sua esperienza o le sue capacità, dall’altro può scegliere secondo la sua disponibilità di tempo e voglia di partecipare.

La modularità è la proprietà che descrive il grado con cui un progetto può essere spezzettato in componenti più piccole, o moduli, che possono essere prodotti indipendentemente e poi riassemblati in modo coerente. Se i moduli sono indipendenti, i singoli collaboratori sono messi nella condizione di scegliere come e quando contribuire, in maniera indipendente l’uno dall’altro. In questo modo vengono massimizzate l’autonomia e la possibilità nel definire natura, grandezza e durata della partecipazione al progetto.1

Volendo fare un piccolo esempio si pensi all’utente di Wikipedia interessato a contribuire: egli potrà scegliere quale argomento approfondire, su quale specifica voce intervenire, quante voci modicare, creare o implementare, il tutto seguendo le sue inclinazioni culturali, a partire dalla lingua di interesse finono al più piccolo particolare. Potrà anche solo modicare o inserire la data precisa di un evento storico, potrà contribuire con un centinaio di modifiche al giorno o farne una al mese, sempre secondo la sua disponibilità. La sostanziale modularità è anche alla base della commutazione di pacchetto che permette alle informazioni di essere scambiate tra un nodo e l’altro. Attraverso il protocollo TCP/Ip l’informazione di partenza viene suddivisa in tante parti uguali (i pacchetti per l’appunto) e ad ogni pacchetto viene dato l’indirizzo del nodo di arrivo. Ma di questo si è già parlato.

La ricombinazione è semplicemente l’altro aspetto della modularità, ovvero il modo di usare i moduli per generare sistemi complessi: se io ho tanti moduli posso ricomporli nel modo che più mi gratifica o interessa: se ho delle librerie software posso ricombinarne le funzioni presenti all’interno per generarne di nuove, se ho Wikipedia posso creare un post sul mio blog ricombinando le informazioni che vi trovo e via di questo passo. Il concetto di remix culture, tanto caro a Lawrence Lessig, è esattamente ciò che sta dietro alla ricombinazione.

Tutto ciò può creare una sorta di annullamento dell’autore e dell’autorialità come la intendiamo, in favore di una molteplicità creativa che sembra permeare il web. Ne parla anche Calvino, a suo modo:

Sono giunto al termine di questa mia apologia del romanzo come grande rete. Qualcuno potrà obiettare che più l’opera tende alla moltiplicazione dei possibili più s’allontana da quell’unicum che è il self di chi scrive, la sincerità interiore, la scoperta della propria verità. Al contrario, rispondo, chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. Ma forse la risposta che mi sta più a cuore dare è un’altra: magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica… Non era forse questo il punto d’arrivo cui tendeva Ovidio nel raccontare la continuità delle forme, il punto d’arrivo cui tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose? (Calvino 1993, p. 134-135)

Qua i rimandi si sprecano, ma se pensiamo alla rete (il web), all’enciclopedia (Wikipedia), all’inventario di oggetti (Whole Earth Catalog) sembra che questo passaggio sia stato scritto ieri e non trent’anni fa.

Si tenga conto del fatto che il discorso riguardante l’autorialità e la sua natura molteplice era già presente in alcuni scritti degli anni ‘60: Opera aperta di Umberto Eco verte esattamente su questo tema, così come gli studi di Nelson Goodman sulla natura allografica di alcune arti (musica ed architettura ad esempio). Eco approfondisce il tema dell’indefinitezza di alcune opere a lui contemporanee, sottolineando come sia proprio l’indefinitezza a costringere il fruitore a effettuare una sorta di completamento, che sposta e complica il discorso sull’autorialità intesa come riconoscimento del self dell’autore.

Si stabilisce dunque una nuova forma di ideazione e fruizione dell’opera d’arte, una forma che eleva il fruitore a collaboratore dell’autore, secondo forme e modalità differenti:

Indubbiamente dal barocco alle odierne poetiche del simbolo si è andato sempre più precisando un concetto di opera dall’esito non univoco […]. Invece una composizione come Scambi di Pousseur rappresenta qualcosa di ulteriore: mentre ascoltando un’opera di Webern l’ascoltatore liberamente riorganizza e fruisce una serie di relazioni nell’ambito dell’universo sonoro offertogli (e già completamente prodotto), in Scambi il fruitore organizza la struttura, dal lato stesso della produzione della manualità, il discorso musicale. Collabora a fare l’opera.

Manco a dirlo Scambi è organizzata sostanzialmente per moduli…


Note

1. Yochai Benkler, La ricchezza della rete: come social produzione trasforma mercati e libertà, 2008. [2] Umberto Eco, Opera aperta, 1962.


Scritto da Andrea Rosada | @_caporosso